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OLTREMAI. una recensione



(...) Sulla scia di una folgorazione letteraria, la danzatrice Maimone elabora un assolo oscuro e melanconico. Oltremai si delinea come la fiaba di una  mesta donna d’altri tempi. Ella vive uno spazio perduto e fuori dal tempo ove imperversano dei libri. Grossi volumi che le fanno da sgabello, la innalzano, l’assediano. Non le danno requie, neanche quando ella desidera pregare.

Libri che costruiscono fantasie controverse come buchi luminosi nel buio, ma capaci allo stesso modo di risucchiarla. Ella li combatte facendo leva sul suo corpo generoso e atletico. Muro in verticale sulle braccia, ellisse d’aria nelle giravolte in avanti e all’indietro su un braccio, spazialità estesa e nervosa nella spaccata. Accade che una figura in apparenza placida e remissiva lasci spazio a un conscio ardore. La Maimone riproduce un universo d’immagini emotività e percezioni, calato nel teatro più puro. (Enrico Rosolino | VERVE MAGAZINE)


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